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Gli Etruschi, quel popolo non tanto misterioso

Non dimenticherò mai la mia prima lezione di Etruscologia. Un gruppetto di studentelli del secondo anno a cui viene impartito un severissimo monito: non badate a quelli che in televisione fanno servizi acchiappa-pubblico sul “mistero degli Etruschi”, perché noi questo popolo lo conosciamo e impariamo a conoscerlo sempre meglio. Però ci dissero anche che potevamo fidarci di quello che dice “il figliolo di Piero Angela” e questo non ha fatto che confermare i miei sentimenti dichiarati di amore eterno per l’Alberto nazionale.

La ritualità religiosa è uno dei campi di cui siamo meglio informati della cultura etrusca, sia grazie alle notizie delle fonti antiche sia grazie all’archeologia. Particolarmente affascinante per me è la concezione etrusca dell’aldilà e le sue manifestazioni. Chi non ha mai visto anche solo un’immagine delle meravigliose tombe dipinte di Tarquinia e Cerveteri? Tra l’altro insieme queste due necropoli sono state dichiarate Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO nel 2004…e scusate se è poco!

Tomba dei rilievi – Cerveteri | foto di Tanya Spasari

Fin dalle epoche più antiche (magari in un prossimo articolo vi parlerò anche dell’origine degli Etruschi), dalla fase detta villanoviana, i defunti erano accompagnati da quello che si chiama in gergo “corredo funerario”. Si tratta di oggetti appartenuti in vita al defunto o anche creati appositamente per l’occasione e usati, ad esempio, nella cerimonia funebre, che però il caro estinto porterà sempre con se…almeno finché non arriveranno gli archeologi.

Corredo funebre | foto di Tanya Spasari

Questo corredo è importante perché ci dà informazioni sulla persona che accompagna, sul sesso, sulla classe sociale, sulle sue abituali attività. Perdonatemi il cliché ma, solitamente, le armi indicano che si tratta di un uomo, con le dovute eccezioni, così come oggetti legati al mondo della tessitura indicano una donna, vasi decorati e oggetti in metallo prezioso raccontano l’appartenenza a un ceto ricco.

Corredo funebre | foto di Tanya Spasari

Ma non è tutto, gli Etruschi, con il passare del tempo iniziarono a seppellire i loro morti in tombe dette “a camera”, scavate nella roccia o costruite. Provate a pensare a quanti e quali indizi ci possono essere in una tomba a camera riguardo la vita della persona che ospita; chiaramente più sono le possibilità economiche della famiglia a cui appartiene, più sarà grande, decorata, piena di oggetti e più informazioni potremo trarne noi.

Purtroppo molto poco si sa dei rituali funebri dei ceti più bassi, anche se l’archeologia non manca di stupirci e quindi mai dire mai…

Le tombe a camera erano spesso costruite come se fossero una vera e propria “casa” per il defunto di alto rango: avevano una o più stanze, letti, mobilio, suppellettili e pareti decorate. Per noi rappresentano la possibilità intravedere il passato perduto, le fattezze interne di un’abitazione etrusca, con i suoi tavolini, poltrone, arredi, come nel caso della Tomba delle Sedie e degli Scudi e della Tomba dei Rilievi (vedi foto sopra), due delle più famose attestazioni di Cerveteri o, per meglio usare il nome latino, Caere, che in etrusco probabilmente era Cisra. Allo stesso modo la struttura delle necropoli era pensata come una vera e propria città dei morti, con strade principali, vie secondarie e piazze.

Ma dalle tombe apprendiamo anche usi e costumi, come viveva la classe sociale più agiata i suoi momenti di svago, ad esempio il banchetto della “Tomba Maggi” e della Tomba degli Scudi di Tarquinia, che ci riporta addirittura il nome della famiglia a cui appartiene, la Gens Velcha. Wow, quanto è incredibile pensare di poter chiamare per nome una famiglia vissuta almeno 2300 anni fa?

Tomba Maggi

Un’altra rappresentazione di un momento legato al banchetto è uno dei pezzi in assoluto più famosi del mondo etrusco: il sarcofago degli sposi, proveniente dalla necropoli della Banditaccia di Cerveteri e conservato al Museo di Villa Giulia a Roma (se non ci siete mai andati, è il momento per recuperare). l’opera rappresenta una coppia distesa su un letto (kline) nella classica posizione sdraiata su un fianco da banchetto, che gli etruschi prendono dai greci e assumono come connotazione di rango sociale elevato. Questo prezioso ritrovamento ci conferma che la donna partecipava insieme al marito al banchetto, una assoluta eccezione nel mondo antico (abbiamo scritto un articolo sul tema della donna qualche tempo fa, se vi va andatelo a leggere).

 https://www.museoetru.it/opere/sarcofago-degli-sposi

Sappiamo anche dei riti che venivano compiuti in onore dei morti, per accompagnare il loro passaggio all’aldilà: c’erano giochi, come vediamo nella Tomba della Scimmia di Chiusi, in cui possiamo vedere corse di carri, gare di lotta, musici e forse anche un gioco simile al polo, tutto in onore della defunta che guarda la scena da sotto un parasole. Ma naturalmente ci dovevano essere anche momenti di compianto e di sacrificio rituale, magari anche con un richiamo agli antenati. Spesso troviamo anche delle figure spaventose, come ad esempio la dea del fato Vanth e il demone Charun, soprattutto quando è rappresentato il viaggio verso gli inferi. Li vediamo nella Tomba François di Vulci in cui si può vedere una scena classica del mito greco, cioè il sacrificio dei prigionieri troiani in occasione dei funerali di Patroclo. Questa rappresentazione ci dà molti indizi importanti, non da ultima l’influenza greca che nel IV secolo a.C. era diventata veramente importante nel mondo etrusco.

La concezione dell’aldilà era come una seconda vita, un vero regno verso cui si doveva andare, come dimostra la presenza di porte in alcune tombe affrescate, come quella degli Auguri di Tarquinia. Però questo luogo e questa seconda vita non erano viste come il Paradiso dei Cristiani, era un luogo triste, in cui vivevano anche quelle terribili creature soprannaturali. Anche per questo motivo chi se lo poteva permettere cercava di arredare e riempire la tomba con oggetti preziosi e bei dipinti, per cercare di rendere più piacevole la nuova triste “vita” nel regno dei morti.

Tumulo Necropoli della Banditaccia – Cerveteri | foto di Tanya Spasari

È notevole che per gli etruschi non esistesse il concetto di assegnazione a un regno più o meno felice in base ai meriti o demeriti ottenuti nella vita. Ancora più notevole è come nelle tombe e nel modo di considerare la morte si rifletta una sorta di consapevolezza del destino a cui andava incontro la società. Infatti, diciamo intorno al III secolo a.C., quando la potenza di Roma andava sempre più a costituire un rischio per le città etrusche che di lì a poco sarebbero tutte state sconfitte e inglobate nel territorio di Roma, anche le pitture sulle tombe iniziarono ad assumere toni sempre più truci e i demoni divennero semre più presenti. Tra questi spicca la figura di Tuchulcha, mostro con orecchie d’asino, muso d’avvoltoio e capelli di serpente, che era quello che i morti per primi vedevano all’ingresso nell’aldilà…che accoglienza, poveretti!

In conclusione, tanto è ancora da studiare e da imparare sul mondo etrusco, il che è una costante dell’archeologia, il non poter mai mettere un punto alle conoscenze e alle scoperte, ed è anche il suo bello.

Però le città dei morti, le grandi camere sepolcrali, tanto ci hanno detto e continuano a dirci. E gli archeologi lavorano in un’eterna lotta contro il tempo che deteriora le evidenze e contro i tombaroli, che da secoli sono la piaga delle necropoli etrusche. Questi, attratti dai grandi tesori che possono trovare all’interno compiono un vero attentato alla conoscenza della storia, perchè ogni reperto trafugato, ogni contesto violato, equivale a perdere un pezzettino unico e introvabile altrove di storia di un popolo.

Parlare di tombe o di necropoli per gli archeologi è quindi molto diverso che nella vita di tutti i giorni. Un cimitero non è un luogo di compianto, certo è un luogo di rispetto, ma anche di studio e di ricerca, da cui possiamo imparare tanto.

Tanya Spasari

3 Risposte a “Gli Etruschi, quel popolo non tanto misterioso”

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