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Film, il rumoroso silenzio di Samuel Beckett

Di Samuel Beckett vi ho già un po’ parlato tempo fa in riferimento alla sua opera più famosa Aspettando Godot. In questo articolo invece parliamo dell’unica occasione nella sua lunga carriera in cui si è dedicato alla settima arte: si tratta di Film, un cortometraggio diretto da Alan Schneider, di cui Beckett cura la sceneggiatura.

Samuel Beckett
Film – Buster Keaton

Il film è stato prodotto a New York nel 1964. Verrà presentato la prima volta l’anno successivo in occasione della Mostra del Cinema di Venezia, dove ottenne il diploma di merito. Per il ruolo del protagonista di questo corto è stato scelto Buster Keaton, uno dei più importanti attori e registi del cinema muto negli anni Venti.

La sceneggiatura di quest’opera fu scritta in breve tempo nel corso della primavera del 1963 e fin dalle prime stesure appare la filosofia narrativa scelta da Samuel Beckett: esse est percipi – essere è essere percepiti, tutto l’essere di un oggetto consiste nel suo venir percepito e nient’altro, che ritroviamo essere uno dei principi dell’empirismo del filosofo e teologo George Berkeley.

Film di Samuel Beckett

«Esse est percipi. Soppressa ogni percezione estranea, animale, umana, divina, la percezione di sé continua ad esistere. Il tentativo di non essere, nella fuga da ogni percezione estranea, si vanifica di fronte all’ineluttabilità della percezione di sé». (Samuel Beckett, Film).

Questo particolare film mostra un individuo senza nome e inizialmente senza volto impegnato nel disperato tentativo di fuggire a ogni sguardo su se stesso. Gli sguardi sono il proprio (attraverso gli specchi), estraneo e anche animale. O (come abbreviazione di object) è la sigla che identifica il protagonista, il “percepito”, che tenta di sottrarsi allo sguardo di E (come abbreviazione di eye), l’altro personaggio, il “percipiente”.

È seguito da uno sguardo costante puntato alle sue spalle, insistente e angosciante. Un occhio indagatore che non lascerà andare quest’individuo fino alla fine del film. Nel momento in cui l’uomo si abbandona all’illusione di essere fuggito a qualsiasi sguardo, ritrovandosi in una stanza spoglia, si ritrova faccia a faccia con il suo inseguitore. È lo sguardo dell’Io su se stesso a cui è impossibile fuggire.

Già dal titolo del cortometraggio “Film”, Beckett rende esplicita la tecnica utilizzata e la sua intenzione artistica, dando risalto all’importanza drammatica e semantica dei mezzi ed espedienti utilizzati.

Uso drammaturgico della telecamera

Film è un film muto, ma non silente, uno studio sull’uso drammaturgico dell’occhio della telecamera, che diventa essa stessa un personaggio.

Tutto il cortometraggio ha un montaggio studiato e simmetrico. L’inizio e la fine coincidono nell’immagine di un occhio che si apre, un primissimo piano su un occhio che mostra il valore dato all’intero testo. Uno sguardo che apre e chiude il racconto.

Nei ventidue minuti che compongono il film si susseguono tre diverse sequenze narrative prive di dialoghi. Nella prima O – il percepito tenta di sottrarsi allo sguardo insistente camminando velocemente lungo una strada dritta; la seconda sequenza si svolge invece nell’ingresso del palazzo in cui abita quest’individuo; l’ultima, la più lunga delle tre, ha luogo in una stanza e qui vediamo O nel tentativo di rimuovere qualsiasi sguardo da sé, coprendo specchi o facendo uscire dalla stanza con difficoltà (dando vita all’unico momento ilare del film) un gatto e un cane. Scoprirà in quest’ultima sequenza, con un colpo di scena e sfruttando la funzione drammaturgica della macchina da presa che è lui stesso a essere osservato e osservatore.

Un particolare molto interessante è che i due O ed E, percepito e percipiente, si fissano con un unico occhio, in quanto l’altro è coperto da una benda, dando così al personaggio una semi-cecità.

In un saggio di Sandro Montalto dal titolo Beckett e Keaton: il comico e l’angoscia di esistere, l’autore vede questa benda come un richiamo alla cecità caratteristica dei miti che hanno avuto modo di vedere così le “cose come sono”, facendo l’esempio di Tiresia ed Edipo, con un richiamo anche al Pozzo sempre di Beckett. Si spiegherebbe così la scelta di questa benda, come modo di vedere la realtà attraverso occhi non fisici.

Gli elementi scenici

Vi sono poi altri elementi scenici e drammaturgici degni di attenzione. A partire dalla coppia che individuo-oggetto incontra sulla sua strada, un uomo e una donna, che leggono un giornale. Nel vederlo la donna si spaventa e si spinge verso il muro, mentre l’uomo La donna, spaventata, si addossa al muro. Il tutto mentre l’altro passante, nell’urto, perde il cappello e sta quasi per urlare qualcosa. Ma la donna, con l’unico suono del film intima il silenzio con un sonoro “sssh”. Così entrambi si voltano e i volti si dipingono di sgomento nel momento in cui si rendono conto di essere osservati.

Nel suo fuggire, O incontra un altro personaggio. Un’anziana signora con in mano un cesto di fiori, inizialmente sorridente, finendo anche lei nel terrore coprendosi il viso.

Anche gli oggetti, gli animali e i luoghi contribuiscono ad accrescere l’ansia e il terrore costante. Il cane e il gatto, la stanza, la sedia a dondolo, le fotografie.

Un excursus ciclico, metafora dell’impossibilità di sfuggire allo sguardo più terribile, il nostro.

Noemi Spasari