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Religiosità al femminile

Il contributo di oggi parla ancora di donna nell’antica Grecia: ho promesso alla mia amica Mia che non avrei fatto “la solita grecista”, quindi per le prossime uscite prometto di impegnarmi un po’ di più per spaziare in altri ambiti!

Parliamo di religione, un campo in cui le donne hanno avuto un ruolo da protagoniste, a differenza di quanto avveniva in quasi tutti gli altri aspetti della loro vita (vd. l’articolo precedente sulla condizione femminile). Le dee nel Pantheon greco avevano un ruolo di assoluto primo piano, spesso a loro erano dedicati i santuari principali delle città e le città stesse.

Il tempio di Atena dell’area archeologica di Paestum (SA). Foto dell’autore

I culti rivolti alle divinità femminili erano quasi sempre partecipati esclusivamente da donne, di vario grado di età a seconda del rito specifico da compiere. Per sottolineare ancora di più l’importanza del loro ruolo è da tener presente che la polis greca, cioè la città-stato, faceva della religione una delle sue fondamentali basi di unione civica, dei templi i suoi punti di riferimento, del calendario delle festività religiose quello che ne scandiva la vita.

Nel mondo greco, la concezione della vita della donna era essenzialmente quella di un percorso, strutturato in una serie di tappe: la ragazza che diventava adulta, poi sposa, poi madre, e che necessitava di essere inserita nell’ordine sociale attraverso la partecipazione a particolari “riti di passaggio”. Le donne erano anche responsabili della ritualità sulla riproduzione quindi la fertilità, i figli quindi la nascita, e il mantenimento della famiglia quindi il benessere agricolo.

Uno dei momenti sacri legati al mondo femminile più importanti nell’intero mondo greco è quello delle Arreforie ateniesi, le feste dedicate alla dea Atena. Il rituale arreforico aveva come scopo il trasformare le “figlie di ateniesi” in “mogli e madri di ateniesi” e si svolgeva con una processione notturna in cui delle ragazze prescelte per il rito, portavano doni alla dea. Altri eventi simili, molto importanti, erano ad esempio le Tesmoforie, riti propiziatori della fertilità della terra, rivolti a Demetra e a sua figlia Persefone.

Il rito delle Arreforie raffigurato sul fregio del Partenone, parte dei marmi “Elgin” conservati al British Museum di Londra – Fonte: Wikipedia Netherland

Ciò non significa che l’uomo non avesse trovato il modo di dare una connotazione negativa al ruolo della donna nei riti religiosi, ovviamente: la donna è un essere “selvaggio”, perché incapace di controllare alcuni processi naturali, soprattutto il ciclo mestruale, che la rende impura. Come vedete non è cambiato molto e tutti gli uomini inorridiscono – oggi come allora – al solo sentire pronunciare la parola mestruazione! Si verificavano addirittura veri casi di allontanamento temporaneo dalla società, ad esempio per le donne che avessero appena partorito, che venivano condotte in speciali “casette” con altre donne nella stessa condizione, proprio per la loro impurità che poteva “inquinare” l’ambiente in cui si trovavano. Come se tutti gli uomini non fossero a questo mondo grazie a una donna che li ha partoriti!

Era necessario quindi che questa e altre condizioni di impurità si sottoponessero a riti di purificazione e il mezzo con cui la si otteneva era ovviamente “l’assoluzione” divina, attraverso riti, processioni, sacrifici, danze, preghiere e l’uso di elementi quali acqua e fuoco.

L’acqua era considerata di grande potere: scaturisce dalla “Madre Terra”, quella che dona la vita, e quindi possiede proprietà rigeneratrici. Svariate forme di lavaggi rituali (se vogliamo usare un termine specifico diremo abluzioni), venivano praticate in occasione di cerimonie religiose sia private che pubbliche: ad esempio, sappiamo che il bagno era una delle tappe rituali verso la pratica dell’iniziazione, ma anche preliminare al matrimonio per la futura sposa.

Perirrhanterion dal santuario dell’Incoronata di Metaponto. Si tratta di un grande contenitore da acqua che veniva utilizzato nei santuari per i rituali. Fonte http://www.museoradio3.rai.it/dl/portali/site/articolo/ContentItem-842aeb57-0bbf-45de-ac49-f74bafe14456.html

La pratica dell’immersione, totale o parziale, non riguardava solo le fedeli, ma poteva essere praticata anche alle statue di culto o agli oggetti donati in voto, che in tal modo venivano purificati e consacrati. In queste occasioni la statua della dea veniva lavata, vestita e ornata di gioielli, perché in quel momento così importante e carico di significato smetteva di essere semplice immagine divina per diventare la dea stessa. Per il bagno la statua veniva portata in processione verso una fonte, un fiume o un apposito spazio all’interno dei santuari. Scopo del bagno prenuziale non era solo la purificazione ma anche utilizzare le proprietà rigenerative e benefiche dell’acqua per la fecondità della sposa: le divinità connesse all’acqua e tutelari di questi riti si faranno protettrici anche dei nascituri. Una vasca dedicata a questo genere di culti era presente in un sito che mi è molto caro, il santuario di Punta Stilo a Kaulonia, in Calabria, a cui ho avuto il grande piacere di dedicare molti anni della mia vita da studentessa universitaria e che ho studiato nella mia tesi di laurea.

Ecco un esempio di Hydria, il vaso utilizzato per trasportare e versare l’acqua per eccellenza, che si distingue dalla classica anfora per la presenza di tre manici, in termine tecnico anse, di cui una verticale.

Fonte: http://www.comune.bologna.it/archeologico/percorsi/47680/id/8988/oggetto/2344/

Un’idea concreta di come si svolgessero questi rituali ci viene data da alcune rappresentazioni iconografiche, quindi dalle immagini, che ci mostrano scene di rituali femminili, dagli scavi archeologici nei santuari, da cui spesso emergono vasche e pozzi, oltre a utensili per il culto e vasi specifici per trasportare e contenere l’acqua o che servivano come bruciatori, che si uniscono a quanto tramandato dai testi scritti.
Vediamo ad esempio delle scene di peplophorie, cioè di giovani donne prossime al matrimonio che portano in processione il peplo nuziale, così si chiamava il vestito, alla dea perché lo benedica insieme alla sua futura unione. Oltre al peplo portavano ovviamente doni alla loro dea, simboli della loro devozione e legati alla natura stessa della divinità.

Disegno di un pinax dalla pubblicazione I Pinakes di Loci Epizefiri. Musei di Reggio Calabria e di Locri, 2003

Il mondo della religiosità al femminile è molto complesso e affascinante e se ci riflettete bene, molti echi di queste pratiche si posso ritrovare anche oggi in molti riti e usanze che venivano praticati fino a non molto tempo fa in occasione degli stessi eventi, come appunto il matrimonio o la nascita. Concludo con una riflessione sul mondo femminile che nei momenti più importanti della vita si unisce, consolidando relazioni e affetti, intorno alla religiosità e alla ritualità condivisa. Le donne fanno gruppo compatto che si sostiene a vicenda e si uniscono con la loro divinità, che a sua volta le protegge e le guida.

Non so a voi ma a me questo quadro così delineato dà una certa emozione e mi sento vicina con lo spirito a quelle donne di un tempo, quasi come se partecipassi alle loro processioni e alle loro danze.

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