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Anfitrione e la commedia degli equivoci

In un articolo di qualche settimana fa vi ho parlato di come alcune frasi delle opere di Shakespeare siano entrate a far parte del nostro modo di esprimerci quotidiano; oggi andiamo ancora più indietro nel tempo, più o meno alla fine del III secolo a.c., nel momento in cui un famoso commediografo latino componeva un’opera che avrebbe dato vita (non proprio consapevolmente) a dei termini che oggi si trovano nel nostro vocabolario. Stiamo parlando di Plauto e del suo Anfitrione.

I termini che da questa opera abbiamo ereditato sono essenzialmente due: Anfitrione, appunto, e sosia.

Vediamo insieme la storia così da capire meglio l’origine di questi due termini

Amphitruo Anfitrione è un’opera attribuita a Tito Maccio Plauto, autore latino, esponente del genere teatrale della palliata (prossimamente forse farò un articolo dedicato al teatro greco e latino), ed è inoltre un perfetto esempio di quel genere di opere identificate come “commedia degli equivoci”.

Cosa succede? Fondamentalmente è colpa di Zeus, come sempre accade nella mitologia, che aveva voglia di abbandonare ancora una volta il letto coniugale per congiungersi con una povera e inconsapevole mortale.
Il ruolo della povera mortale è in questo caso interpretato da Alcmena (eh sì, avete capito bene, la mamma di un certo signorino molto famoso che ha fatto una dozzina di fatiche eroiche).

Andiamo con ordine: Anfitrione è impegnato nella guerra ai Teleboi, così il furbo Giove (Zeus era per i greci, qui siamo a Roma) prende le sue sembianze e giace con la sua sposa, Alcmena, ovviamente ignara di tutto (pensava fosse il marito).

Dove inizia il problema? Quando una notte Sosia, schiavo di Anfitrione, per suo ordine si reca da Alcmena per darle il resoconto della guerra, ma sulla strada incontra Mercurio che aveva preso anche lui la pozione polisucco e ha le sembianze proprio di Sosia!

Mercurio, convince Sosia con la violenza, che è il vero Sosia è lui e così lo schiavo torna indietro dal padrone, nel frattempo Giove-Anfitrione saluta Alcmena dicendo di dover tornare a combattere.
La situazione si complica ulteriormente quando Anfitrione e Sosia tornano a casa del padrone e vengono accolti con freddezza da Alcmena che sostiene di essere stata col marito fino a poco prima (povera donna, ha ragione, tutta colpa di Giove).

Per farla breve vengono chiamati in causa testimoni, le accuse volano, la povera Alcmena non capisce cosa sia successo, Anfitrione è fuori di sé; finché Giove non decide di degnare tutti della sua divina presenza e spiega cosa sia realmente accaduto (è accaduto che ha un problema di incontinenza, ecco che è accaduto).

Ma ovviamente non finisce qui: Alcmena è incinta di due gemelli, uno dei quali è proprio Ercole che dimostrerà la sua forza sin nel fasciatoio strozzando due serpenti che si erano infilati nella culla (erano stati inviati da Giunone, la moglie di Giove, gelosa per l’ennesima scappatella del marito, ma davvero la vogliamo incolpare?).

Alla fine, Giove come deus ex machina (sì, farò un articolo sul teatro antico, va bene) arriva in scena per convincere Anfitrione a non dar colpe a sua moglie. Pace fatta, grazie Giove.

Anfitrione e Sosia
Come abbiamo visto, Anfitrione e Sosia sono i nomi di due personaggi del testo. Che significato hanno assunto al giorno d’oggi?

L’Anfitrione, per chi non lo sapesse, è il padrone di casa che ospita e intrattiene i convitati, un po’ ironico per il protagonista della storia.

Sosia invece indica una persona che somiglia moltissimo a un’altra, tanto da poter essere scambiata per questa, come appunto succede in questo caso.

Alcune informazioni sull’opera
Come dicevamo, L’AnfitrioneAmphitruo è una commedia composta da cinque atti e un prologo, scritta dal commediografo latino Plauto ipoteticamente verso la fine del III secolo a.C. e rappresentata, sempre ipoteticamente, nel 206 a.C.

Fatto curioso, solitamente le commedie rappresentavano eventi riguardanti personaggi popolari, non divinità o soggetti mitici, che erano invece protagonisti della tragedia; infatti proprio per questo motivo nel prologo sarà Plauto stesso, per bocca di Mercurio, a definire la sua opera una tragicommedia.

La genialità di Plauto
Plauto è un po’ il comico dei giorni nostri, che gioca su argomenti di politica e cronaca quotidiana, studia molto i giochi di parole e il linguaggio.

Una curiosità interessante è nell’introduzione dell’opera, la prima lettera di ogni riga va a formare la parola “ANPHITRVO” (V =U). (In realtà questo accade in tutte le commedie plautine, questo tipo di componimento si chiama acrostico).

«Amore captus Alcumenas Iuppiter
Mutauit sese in formam eius coniugis
Pro patria Amphitruo dum decernit cum hostibus.
Habitu Mercurius ei subseruit Sosiae:
Is aduenientis seruum ac dominum frustra habet.
Turbas uxori ciet Amphitruo: atque inuicem
Raptant pro moechis. Blepharo captus arbiter
Vter sit non quit Amphitruo decernere.
Omnem rem noscunt; geminos Alcumena enititur».

Vi metto la traduzione a cura di Mario Scàndola che ho nella mia edizione BUR: «Giove, preso d’amore per Alcmena, ha assunto le sembianze del marito di lei, Anfitrione, mentre costui combatte contro i nemici della patria. Gli dà manforte Mercurio, travestito da Sosia; egli si prende gioco, al loro ritorno, del servo e del padrone. Anfitrione fa una scenata alla moglie; e i due rivali si danno l’un l’altro dell’adultero. Blefarone preso come arbitro, non può decidere quale dei due sia Anfitrione. Poi si scopre tutto; Alcmena dà alla luce due gemelli».

L’immagine dell’articolo è di Carlo Maria Mariani, La mano ubbidisce all’intelletto, 1983

@Noemi Spasari, 2021

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