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L’uomo dal fiore in bocca: un dialogo sulla morte

Quando parliamo di teatro italiano, fra i primi nomi che ci risuonano in bocca c’è senza dubbio quello di Luigi Pirandello, uno fra i più grandi drammaturghi del nostro Paese.

Le sue opere e il suo pensiero riempiono libri, menti e dialoghi, sono fra le più studiate nelle scuole superiori; personalmente ho un rapporto complicato con il caro Luigi. Amo le sue opere, è stato una sorta di mentore nelle mie scelte, una figura importante nella mia crescita, che col suo pensiero umorista mi ha “rovinato” l’ingenuità dell’adolescenza.

Oggi non andremo a parlare delle sue opere più famose, ma di una che in poche pagine riesce a trattare un argomento tabù e molto importante: la morte, che sia prevista o imprevista. L’opera è L’uomo dal fiore in bocca.

L’opera
L’uomo dal fiore in bocca fa parte di quella che può essere definita come la terza fase del teatro pirandelliano, quella del “teatro nel teatro”, in cui viene abolito il concetto della quarta parete.
Un breve racconto, un dialogo quotidiano. La scena si svolge in un semplice caffè di una piccola stazione di provincia; due uomini si ritrovano a tarda notte e conversano.

I dialoghi potrebbero essere stati pronunciati da chiunque di noi, gli argomenti molto ricorrenti: l’aver perso il treno per un minimo ritardo, le compere a cui gli uomini sono incaricati dalle mogli in villeggiatura, i commessi dei negozi particolarmente bravi a confezionare i pacchetti.

I due uomini sono in parte gli opposti: uno dei due parla molto più spesso, mentre l’altro si limita ad ascoltare interloquendo ogni tanto, con frasi ovvie e quasi scontate.

È solo gradualmente che da questo dialogo emerge la vera natura del dramma, arrivando a richiamare il significato del titolo dell’opera “il fiore in bocca”.

«Venga… le faccio vedere una cosa. Guardi, qua, sotto questo baffo, qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo… più dolce d’una caramella: – Epitelioma, si chiama. Pronunzii, sentirà che dolcezza: epitelioma… La morte capisce? È passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto “Tienitelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!”».

L’uomo “chiacchierone” rivela all’altro la sua triste verità: ha scoperto di essere affetto da un tumore della bocca, un male che lo condanna a morte nel giro di pochi mesi. Si confida a questo sconosciuto con minuzia di particolari, spiegando come la sua condizione lo spinga al bisogno di entrare nella vita degli sconosciuti cercando di ricostruirne il modo di essere, per cercare di comprendere la natura delle persone.

Spiega anche come si ritrovi spesso a fuggire ai conoscenti e alla moglie, per sentirsi libero di immaginare e di affermare la sua illusoria volontà di vivere.

L’incomunicabilità
Protagonista di L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello è l’incomunicabilità, accompagnata dalla solitudine, alla ricerca della banalità dei particolari più piccoli e insignificanti del quotidiano per tentare di dare alla vita un valore maggiore rispetto alla morte. Tutta l’opera è così incentrata sulla morte, quella prevista e quella imprevista.

Com’è tipico di Pirandello, alla vita non viene dato nessun valore in sé, ma quando l’individuo – sulla strada della morte – la osserva, anche i gesti quotidiani insignificanti acquistano un valore vitale.

Non conosciamo la vita, ma sentiamo il bisogno di viverla nel momento in cui pensiamo di esserne privati.

 

 

@Noemi Spasari, 2021